La crisi politica e l’inflazione incombono pesantemente sull’economia italiana: a farne le spese famiglie e ceti sociali più deboli. Ecco le conseguenze.
L’instabilità politica, lo spettro dell’inflazione e, dunque, quello della crisi economica hanno prodotto un nuovo calo delle intenzioni d’acquisto (-5,9%) degli italiani dopo l’avanzata di fine giugno (+11,8%). Agosto, quindi, è visto come il momento meno favorevole per fare acquisti importanti: solo il 23% pensa che ci siano le condizioni per spendere (meno della metà rispetto al 47% dello scorso novembre).
È quello che viene fuori dall’Osservatorio Findomestic di agosto. Negli ultimi giorni di luglio, oltre ai timori ormai registrato verso l’aumento dei prezzi (48%) e una possibile recessione economica del Paese (41%), si è segnata la preoccupazione per l’instabilità politica (25%), che aumenta il rischio per l’11% degli intervistati l’erogazione dei fondi Pnrr all’Italia, e una crescente ansia per il cambiamento del clima(35%).
L’analisi è stata pubblicata nello stesso giorno in cui l’Istat ha reso noti i dati definitivi sull’inflazione di luglio confermando l’incremento medio del 7,9% annuo (+8% a giugno).
I prezzi del cosiddetto «carrello della spesa» sono cresciuti del 9,1%, segnando una crescita che non si vedeva da settembre 1984. A fronte del rallentamento i prezzi dei beni energetici (da +48,7% di giugno a +42,9%), hanno registrato un segno più i prezzi dei beni alimentari lavorati (da +8,1% a +9,5%), dei servizi di trasporto (da +7,2% a +8,9%), dei beni non durevoli (da +2,9% a +3,6%) e dei durevoli (da +2,8 a +3,3%).
«In un contesto come quello attuale – ha detto Claudio Bardazzi, responsabile Osservatorio Findomestic – abbiamo registrato come il nostro campione si ritenga meno ottimista per il prossimo futuro (-6 punti percentuali in un mese) nonostante diminuiscano (dal 65% di fine giugno al 58% di fine luglio) quanti percepiscono i prezzi molto in crescita». La maggior parte degli italiani, ha proseguito, «continua ad avvertire i maggiori rincari per carburanti e bollette (rispettivamente l’84% e il 79%), ma oggi una parte consistente del campione li riscontra anche nel settore degli alimentari freschi e confezionati (73% e 68% delle risposte), oltre che nei bar e nelle pizzerie (61%)». In questo scenario di inflazione alcune aziende, con l’obiettivo di lasciare invariato il prezzo dei prodotti, ne riducono peso e quantità. Quasi 6 intervistati su 10 dell’Osservatorio Findomestic si sono imbattuti in questo fenomeno (shrinkflation) e oltre la metà di loro ha deciso di non acquistare più i prodotti delle marche che adottano questa politica.
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