Bollette e debito pubblico, il danno ora è doppio

L’impatto del caro bollette sul debito pubblico c’è già e sarà crescente nei prossimi mesi, indipendentemente dagli scostamenti di bilancio. 

Mentre i partiti discutono per slogan su come affrontare la più grave crisi energetica in Europa dal Secondo Dopoguerra, il governo Draghi è al lavoro per studiare misure con cui placare l’impatto del caro bollette su famiglie e imprese.

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Ma c’è una linea rossa che non può essere superata: lo scostamento di bilancio. Il premier resta contrario all’idea di gravare sul debito pubblico per aiutare l’economia, temendo la reazione negativa dei mercati. In effetti, l’Italia non dispone di grossi margini di manovra sul piano fiscale. Siamo già molto indebitati e chi possiede i capitali non ce li presta illimitatamente. Il problema è che il caro bollette sta già impattando negativamente sul debito pubblico, che il governo Draghi voglia o meno. Tra gennaio e luglio di quest’anno, il numero di ore di cassa integrazione richieste dalle imprese è salito del 45,65% rispetto allo stesso periodo del 2021. A giugno si è registrata un’accelerazione del 49,8% su maggio. Insomma, l’INPS sta già sborsando di più per pagare ai dipendenti le minori ore lavorate. E cosa c’entra il caro bollette con tutto questo?

Caro bollette per aziende energivore

Vi proponiamo un esempio per capire cosa stia accadendo dentro le fabbriche. Prendiamo un’azienda che lavora la ceramica nel distretto di Sassuolo, nel modenese.

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E’ una tipica attività energivora, cioè che consuma molta energia per produrre. L’anno scorso poteva usare il gas al prezzo di 23 centesimi per metro cubo, mentre adesso questo è arrivato a 3 euro. Praticamente, il costo si è moltiplicato per tredici. Per un metro quadrato di piastrelle sono necessari 3 metri cubi di gas. Il solo rincaro della materia prima, quindi, incide per circa 8,30 euro. In teoria, l’azienda può scaricare l’extra-costo sull’acquirente. Nella pratica, non è così. Dati i prezzi di vendita al consumatore finale, stiamo parlando di un rincaro finanche del 100%. E’ evidente che il mercato non sia sempre disposto ad assorbire gli aumenti dei costi. Voi comprereste le piastrelle per il bagno a 20 euro, anziché a 11-12 euro? E se la domanda si dilegua dinnanzi a tali rialzi, l’azienda cosa deve fare? In teoria, continuare a produrre in perdita sarebbe sostenibile solo per realtà con le spalle grosse. Le altre ricorrono alla cassa integrazione.

A rischio imprese e lavoratori

Non è detto che sia possibile. Ci sono realtà – basti pensare al tessile – che hanno bisogno di produrre ora per i picchi di vendita nella stagione pre-natalizia. Rinunciare a produrre significherebbe buttare al mare un’intera annata, cioè anche chiudere battenti. Ma produrre a questi costi comporta il rischio di non vendere nulla e di finire ad ingrassare il magazzino. In futuro, tale merce dovrebbe essere svenduta sottocosto. Insomma, una tragedia economica. Giustamente, Confindustria parla di rischio “desertificazione industriale”. La minore occupazione, che si spera sia solo temporanea, si traduce in maggiore spesa dell’INPS a sostegno dei lavoratori. Ma se la crisi energetica si protrae e il caro bollette resta tale, tra pochi mesi assisteremo a licenziamenti di massa, specie in alcuni comparti. Oltre ai sussidi necessari da elargire, vi sarebbe il calo del gettito fiscale derivante dalla minore produzione e occupazione. Siamo partiti dal voler evitare lo scostamento di bilancio e finiremo probabilmente per avere ugualmente più debito pubblico e tante imprese chiuse e lavoratori lasciati per strada

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